Per “modello biopsicosociale” si intende l’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali.
Ogni persona nasce con un sistema nervoso più o meno reattivo, “sensibile”, resiliente. Può essere a causa sia di caratteristiche innate sia per come è maturato nel corso del tempo. Sono questi i fattori alla base della cosiddetta vulnerabilità biologica.
Per resilienza intendiamo la capacità di una persona di riprendersi, di recuperare e tornare a uno stato di benessere dopo aver subito un trauma.
I fattori psicologici appaiono ancora più importanti. Tra questi, ovviamente, la qualità del legame vissuto con i propri genitori può aver funzionato più o meno bene come una base sicura. Negli anni ’70 un grande psichiatra inglese, John Bowlby, coniò il termine base sicura per descrivere l’attaccamento tra madre e bambino).
Un attaccamento di tipo disorganizzato correla con il genitore spaventante e spaventato. Se il genitore ha avuto un lutto non elaborato o traumi li trasmetterà con una maggiore probabilità al figlio.
Altri potenziali fattori di rischio o protettivi possono essere:
A seconda di come queste variabili si siano strutturate nel corso dello sviluppo individuale, possono rappresentare un fattore di rischio o un fattore protettivo.
Alcuni fattori di natura sociale sono particolarmente importanti per determinare il carico di stress:
Quindi il modello biopsicosociale permette di concepire i concetti di salute e malattia sulla base dell’equilibrio di questi tre fattori: biologici, psicologici e sociali.
Anche nel campo del trauma è importante analizzare l’interazione di questi tre fattori per avere un quadro esaustivo. L’obiettivo è quello di ridurre i fattori di rischio e incrementare i fattori protettivi. Potenziare gli aspetti psicologici e sociali possono dare un grande aiuto nell’elaborazione del trauma.